» Fallen - di Fred Kelemen | Lorenzo Pompeo (nonsolocinema)
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Il quarto lungometraggio di questo regista tedesco, in concorso al 6° festival del cinema europeo, è forse il migliore rappresentate di un cinema che non ha nessuna ambizione di successo ma che punta fin dall'inizio alla nicchia dei cultori di cinema. Coerente con la sua poetica anche in questa sua ultima opera, Keleman infatti si è costruito con i suoi precedenti lavori la fama di un regista "dark" di culto.
Nato a Berlino nel 1964 inizia a lavorare come pittore e musicista, poi come assistente alla regia in teatro. A partire dal 1989 studiacinema al DFFB di Berlino e lavora come operatore alla macchina e direttore della fotografia - per esempio - in Utazas az alföldön (1995), diretto da Béla Tarr. Dopo aver diretto alcuni cortometraggi, nel 1994 esordisce nel lungometraggio con Verhängnis (titolo tradotto in inglese come Fate), film realizzato in Hi-8 e poi riportato in 16', girato e ambientato nei bassifondi di Berlino nei quali si incrociano personaggi di diverse nazionalità, con le loro storie di alcool, degrado e "nomadismo esistenziale".
Il successivo Frost ("gelo"), del 1988, che vince il premio Fipresci al Festival di Rotterdam e il Cariddi d'argento al festival di Taormina, racconta la fuga da un marito violento di Marianne con il figlio di sette anni . I due vorrebbero dirigersi verso l'ex Germania orientale, dove Marianne ha trascorso la giovinezza, ma arrivati a quella che pensano essere la meta finale del viaggio, si ritrovano in una landa coperta di ghiaccio. Il film, in 16', della durata di 203', è caratterizzato da una "esasperante" lunghezza-lentezza dei piani sequenza (l'inquadratura ricorrente è quella di una strada dissestata che attraversa un paesaggio deserto).
Il suo ultimo lavoro, in bianco e nero, conferma la fama di regista estremo e coerente (che a tratti ricorda Wenders, Sokurov o Jarmush nei loro film più "pesanti"). Ne è protagonista un impiegato all'archivio nazionale di Riga, Mattis Zelcs, che una sera, passando su un ponte, intravede una figura femminile e poco dopo sente un tonfo nell'acqua e un disperato grido di aiuto. Da questo momento la sua tranquilla esistenza è sconvolta. Prima viene interrogato dalla polizia, successivamente, forse mosso da un vago senso di colpa o forse per curiosità, vuole scoprire l'identità della suicida. Inizia a vagare per la città alla ricerca di un qualche indizio e riesce a trovare la sua borsetta insieme ad alcune lettere. Lentamente riesce a comporre la biografia della donna, sposata ma coinvolta in una tormentata relazione extraconiugale. Trova il suo amante, al quale restituisce gli oggetti della donna, (un uomo agli antipodi rispetto a Mattis, uomo dalla vita ordinata e ordinaria) e lo mette di fronte alle sue responsabilità tanto da spingerlo al suicidio. Nelle ultime scene del film vediamo la donna che passeggia per le banchine del porto di Riga con la sua famiglia. Il degrado post-sovietico della città di Riga, nella quale vaga l'anima in pena dell'impiegato lettone rappresenta lo sfondo perfetto di questa storia di solitudine, di dolore, ma anche di salvezza, perdono e liberazione.
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