FALLEN
Un uomo passeggia su un ponte. I suoi occhi incrociano quelli di una donna
che si sta per suicidare. Lui prosegue la sua strada, ma sentendo le grida
di aiuto della donna ormai in acqua, ci ripensa, si volta e torna indietro.
Ma è troppo tardi. Si apre in questo modo il quarto lungometraggio
del tedesco Fred Kelemen, lavoro affascinante ed angosciante. Il regista
racconta il dramma esistenziale di un archivista di Riga (Lettonia, in
cui il film è girato) mascherandolo da noir.
L’uomo, colto dal senso di colpa per essere stato indifferente di
fronte al doloroso sguardo della donna, cerca di redimersi facendo delle
ricerche sulla vita di lei. Trova la sua borsetta in un bar e tre lettere
mai spedite al suo amante, che riesce ad incontrare grazie all’indirizzo
scritto sulla busta. In un momento di ubriachezza incolpa l’amante
di essere la causa del suicidio della donna; di tutta risposta l’uomo
si spara.
Il protagonista di Krisana, Matiss, si aggira per la degradata periferia
della capitale lettone, indifferente e desensibilizzato. Per la sua strada
incontra alcuni personaggi, tutti persi nel proprio dramma esistenziale,
in primis la suicida, grazie alla quale l’uomo ripercorre il suo
dolore interiore, sia visivamente, tramite i lunghissimi piano-sequenza
che mostrano l’archivista percorrere il ponte da cui la donna si
è buttata, sia metaforicamente, tramite il tentativo di risolvere
il ‘caso’ della morte di una persona per raggiungere la propria
liberazione. Matiss non vuole essere anestetizzato dall’indifferenza
come il poliziotto che lo interroga all’inizio del film, né
tantomeno sentirsi colpevole come l’amante della suicida. Si rende
conto che la sua omissione di soccorso non è semplicemente un grave
atto da nascondere ai tutori dell’ordine, ma la molla che fa scattare
la presa di coscienza della propria dis-umanità.
Kelemen guida lo spettatore nell’indagine del protagonista (l’ottimo
esordiente Egons Dombrovskis) mostrandoci, tramite l’opprimente
quanto splendida fotografia di Baiba Lagdzina, tutta la solitudine dell’uomo
che, in qualche modo, rende propri gli effetti personali della donna trovati
nella borsetta, le diapositive, le tormentate storie d’amore col
marito e soprattutto con l’amante: frammenti di vita e di morte
che elevano la semplice ricerca ad un livello più generale, svelando
l’angoscia esistenziale dell’essere umano.
Malgrado questi presupposti estremamente pessimistici, il film lascia
comunque uno spiraglio di speranza. Giunto al culmine della crisi (e dell’ubriachezza),
Matiss vaga senza meta per le strade di Riga e nei labirinti della sua
coscienza, sbandando, vomitando. Incrocia di nuovo lo sguardo della donna,
la segue, le chiede perdono. Poi si sdraia lungo le rive del fiume, esausto.
Un finale visionario che lenisce una profonda angoscia durata quasi novanta
minuti, un escalation di violenza mai visibile, ma solo accennata, perchè
in realtà latente nei profondi meandri dell’animo umano.
Con il suo atto l’uomo non viene perdonato né dalla donna
né da un qualsiasi Dio, ma da sé stesso: la strada verso
la presa di coscienza della propria ‘umanità’, lo libera
dall’indifferenza in cui egli stesso stesso sguazza. La strada verso
la liberazione è dolorosa e faticosa, a volte insopportabile, a
volte sbagliata (soprattutto quando Matiss crede di potersi liberare dal
senso di colpa accusando l’amante della donna, portandolo invece
al suicidio); il nostro protagonista riesce però ad arrivare alla
redenzione, e così facendo il regista lascia uno spiraglio di luce
che filtra dall’oscurità del suo pensiero.
Film coraggioso, vincitore del premio FIPRESCI al Festival di Rotterdam
e del premio della critica al Festival del Cinema Europeo di Lecce (nonchè
miglior fotografia), Krisana è un’opera cui auspichiamo una
distribuzione italiana, anche se, purtroppo, ne dubitiamo. Peccato.
Close Up, mercoledì 30 novembre 2005 di Matteo Botrugno
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